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La cardiomiopatia restrittiva è una patologia miocardica primaria, caratterizzata da disfunzione diastolica e manifestazioni fenotipiche variabili (Fox, 2004).

Epidemiologia

La cardiomiopatia restrittiva rappresenta la seconda cardiomiopatia più diffusa nella specie felina, seconda solo alla forma ipertrofica e seguita dalla cardiomiopatia dilatativa (Ferasin et al., 2016; Spalla et al., 2016).

Tale patologia è acquisita e colpisce prevalentemente gatti di età adulta; la razza maggiormente colpita è il comune europeo (Ferasin et al., 2016; Kimura et al., 2016a; Spalla et al., 2016). Riguardo la predisposizione di sesso esistono studi contrastanti, in alcuni è riportata una maggiore predisposizione nei soggetti di sesso femminile (Ferasin et al., 2016; Spalla et al., 2016), mentre in altri è segnalata come maggiore nei soggetti di sesso maschile (Kimura et al., 2016a).

Eziopatogenesi

La cardiomiopatia restrittiva viene definita idiopatica, in quanto la causa scatenante è attualmente sconosciuta (Fox, 2004); essa consiste nell’accumulo di tessuto connettivo fibroso che infiltra il tessuto endocardico e/o miocardico (Fox, 2004; Kimura et al., 2016b).

Le ipotesi più accreditate relative alle cause scatenanti includono sviluppo di endocarditi su base virale o immunomediata, che comportano l’infiltrazione di tessuto connettivo fibroso durante i processi riparativi, od una conseguenza della cardiomiopatia ipertrofica in fase avanzata, meno probabili le forme causate dalla sindrome eosinofilica, tipiche dell’uomo (Fox, 2004).

Nell’uomo sono descritte due forme di cardiomiopatia restrittiva (Santilli R, Bussadori C, Borgarelli M, 2012), che possono essere riscontrate anche nella specie felina:

– Forma miocardica: l’infiltrazione di tessuto connettivo avviene a livello del setto interventricolare e della parete libera del ventricolo sinistro.

– Forma endocardica: l’infiltrato di connettivo coinvolge principalmente il tessuto endocardico, alterando la geometria ventricolare.

La forma più diffusa nel gatto è quella endocardica (Kimura et al., 2016a). Studi condotti su organi di pazienti affetti hanno evidenziato che in questa forma la patologia può manifestarsi in due modalità (Kimura et al., 2016b):

– Formazione di briglie di tessuto connettivo fibroso che connettono il setto interventricolare con la parete libera del ventricolo sinistro (forma più comunemente riscontrata).

– Infiltrazione del tessuto connettivo fibroso in maniera diffusa su tutto l’endocardio del ventricolo sinistro, coinvolgendo in certi casi anche le strutture valvolari.

Fisiopatologia

Il tessuto connettivo che si infiltra a livello endocardico e/o miocardico comporta un aumento della rigidità delle pareti ventricolari, che crea una riduzione della compliance ed una conseguente disfunzione diastolica, soprattutto a livello del ventricolo sinistro (Ferasin, 2009). La disfunzione diastolica determina un ristagno ematico a livello delle camere ventricolari e soprattutto delle camere atriali, le quali appaiono enormemente dilatate (Ferasin, 2009).

Il sovraccarico volumetrico che si crea a livello atriale causa, nel lungo periodo, lo sviluppo di sovraccarico pressorio, che, a causa dell’assenza di apparati valvolari che dividono gli atri dal circolo venoso polmonare e sistemico, può portare ad ipertensione venosa polmonare e/o sistemica, con l’insorgenza di edema polmonare/versamento pleurico, ascite e versamento pericardico (Ferasin, 2009; Fox, 2004).

La conseguente stasi ematica a livello atriale sinistro può favorire la formazione di trombi, con possibili fenomeni secondari di embolia (Ferasin, 2009; Fox, 2004; Kimura et al., 2016a; Tam et al., 2002).

La formazione di briglie di tessuto connettivo può inoltre indurre ostruzione ventricolare e creare turbolenze di flusso (Ferasin, 2009). Il tessuto infiltrato può causare una deformità delle camere ventricolari stesse e delle strutture ad esse connesse, come l’apparato valvolare mitralico; questo può comportare l’insorgenza di insufficienza valvolare con rigurgito mitralico ed aumento del sovraccarico volumetrico dell’atrio sinistro (Ferasin, 2009; Fox, 2004; Tam et al., 2002).

Raramente è presente disfunzione sistolica e/o ipertrofia parietale e settale.

Sintomatologia clinica

Nelle fasi precoci della patologia i pazienti possono non presentare alcun segno clinico.

La maggior parte dei pazienti affetti da cardiomiopatia restrittiva in fase avanzata presentano sintomatologia clinica che può essere definita aspecifica (Spalla et al., 2016).

I segni clinici più frequentemente riscontrati nei soggetti affetti sono (Ferasin, 2009; Fox et al., 2014) Santilli R, Bussadori C, Borgarelli M, 2012):

– Dispnea/tachipnea/respiro discordante: questi sintomi sono imputabili all’insorgenza di edema polmonare e/o versamento pleurico

– Soffi cardiaci e ritmo di galoppo

– Tachicardia

– Aritmie cardiache

– Polso giugulare positivo

– Ascite

– Paresi/paralisi di uno o entrambi gli arti posteriori: la stasi ematica all’interno dell’atrio di sinistra può predisporre alla formazione di trombi, con possibile formazione di emboli, i quali spesso vanno a localizzarsi a livello di triforcazione aortica, occludendo una o entrambe le arterie iliache (Ferasin, 2009; Kimura et al., 2016a). Meno frequentemente tali emboli possono andare ad occludere il tronco brachio-cefalico o le arterie renali.

Diagnosi

La diagnosi consiste nell’insieme di più valutazioni (Fox et al., 2014; Kimura et al., 2016; Santilli R, Bussadori C, Borgarelli M, 2012):

– Visita clinica con particolare attenzione dell’auscultazione cardiopolmonare

– Studio radiografico del torace: con questa indagine diagnostica è possibile valutare la presenza di cardiomegalia, l’eventuale ingrandimento atriale sinistro e destro, i campi polmonari con particolare attenzione alle dimensioni delle vene polmonari, la presenza di edema polmonare e di versamento pleurico.

– Elettrocardiografia: consente una valutazione accurata del ritmo cardiaco e lo studio di eventuali aritmie presenti. Le aritmie più spesso riscontrate sono i complessi sopraventricolari prematuri, la tachicardia sopraventricolare, la fibrillazione atriale, i complessi ventricolari prematuri e la tachicardia ventricolare.

– Ecocardiografia: ha lo scopo di emettere diagnosi di certezza, stadiare la patologia cardiaca e seguirne l’andamento nel tempo.

Terapia

Lo scopo terapeutico consiste nel gestire l’insorgenza dell’insufficienza cardiaca congestizia, che compare nelle fasi avanzate della patologia. Le terapie più comunemente somministrate sono (Kimura et al., 2016a) Santilli R, Bussadori C, Borgarelli M, 2012):

– Diuretici: lo scopo principale è quello di limitare il sovraccarico volumetrico che si crea a livello atriale e ventricolare.

– ACE-inibitori: il ruolo di questi farmaci è quello di rallentare l’attivazione dei meccanismi di compenso cronici.

– Antiaggreganti piastrinici: sono finalizzati a prevenire l’insorgenza di fenomeni tromboembolici.

A queste terapie possono esserne aggiunte altre, come farmaci antiaritmici in caso di insorgenza di aritmie o inotropi positivi in presenza di disfunzione sistolica.

Nel caso in cui il paziente, al quale è stata già diagnosticata la patologia in questione, dovesse presentare tachipnea, dispnea o respiro discordante, si è di fronte ad un’emergenza medica che necessita una valutazione medico veterinaria urgente presso una struttura sanitaria.

La cardiomiopatia restrittiva viene definita una patologia a prognosi infausta, infatti i tempi di sopravvivenza riportati in letteratura sono di circa 9 mesi dalla diagnosi (Spalla et al., 2016).

Bibliografia

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Ferasin, L., Sturgess, C.P., Cannon, M.J., Caney, S.M.A., Gruffydd-Jones, T.J., Wotton, P.R., 2016. Feline idiopathic cardiomyopathy: A retrospective study of 106 cats (1994–2001). Journal of Feline Medicine and Surgery 5, 151-159.

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Kimura, Y., Fukushima, R., Hirakawa, A., Kobayashi, M., Machida, N., 2016a. Epidemiological and clinical features of the endomyocardial form of restrictive cardiomyopathy in cats: a review of 41 cases. J Vet Med Sci 78, 781-784.

Kimura, Y., Karakama, S., Hirakawa, A., Tsuchiaka, S., Kobayashi, M., Machida, N., 2016b. Pathological Features and Pathogenesis of the Endomyocardial Form of Restrictive Cardiomyopathy in Cats. J Comp Pathol 155, 190-198.

Santilli R, Bussadori C, Borgarelli M. Miocardiopatie Feline. Manuale di Cardiologia del Cane e del Gatto, 2012

Spalla, I., Locatelli, C., Riscazzi, G., Santagostino, S., Cremaschi, E., Brambilla, P., 2016. Survival in cats with primary and secondary cardiomyopathies. J Feline Med Surg 18, 501-509.

Tam, J.W., Shaikh, N., Sutherland, E., 2002. Echocardiographic assessment of patients with hypertrophic and restrictive cardiomyopathy: imaging and echocardiography. Curr Opin Cardiol 17, 470-477.

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